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Foto di Jörg Peter da Pixabay

Ciò che sembra non è: “L’anello magico” – fiaba trentina

Ciò che sembra non è: “L’anello magico” – fiaba trentina.
“L’anello magico” (Calvino, 1956) è una fiaba molto interessante, non solo per il fatto che mostra il susseguirsi delle funzioni descritte da Vladimir Propp (1928), con particolare attenzione all’entrata in scena dell’oggetto magico – in questo caso, l’anello -, bensì per il fatto che tende a stravolgere ciò che sappiamo, o ciò che presumiamo di sapere, sulle fiabe.

O, meglio, ciò che pensiamo che siano. Ossia, luoghi di povere principesse in cerca di valorosi principi azzurri. Reami magici, intinti di rosa confetto. Dove la principessa è la povera sventurata, ingenua e innocente.


Beh… “L’anello magico” è tutto tranne che questo. L’antagonista, l’antieroe, in questo caso, altri non è che la principessa stessa che, inganna, un “giovane povero”, vero protagonista della fiaba, che verrà aiutato da amici animali.


Un giovane maturo e assennato, ma che, a causa della perdita della fiducia in ciò che gli suggerisce il suo Organismo (Rogers, 1951), cede all’inganno delle apparenze, ben simboleggiate dalla bella principessa, che riesce a rubargli l’anello, ossia a fargli perdere la rotta della sua esistenza, della sua Tendenza Attualizzante (Rogers, 1980).

E saranno proprio i suoi amici animali – allegoricamente, la riscoperta della sua Saggezza – a restituirgli l’oggetto perduto.


Una fiaba che tende a sovvertire, quindi, i nostri stereotipi e pregiudizi, i dati di fatto oggettivi e immodificabili.

Come a dire: “L’anello magico” rompe gli schemi, suggerendoci, allo stesso tempo, come le fiabe non siano un prodotto unicamente infantile, ma quanto, invece, possano essere un valido aiuto anche per l’adulto, per il suo pensiero critico.

Per un pensiero che possa incarnarsi in una modalità di maieutica socratica, di apertura e interrogazione sulla realtà.


Una fiaba che, grazie, alla rottura di mappe cognitive rigide e disfunzionali, può promuovere importanti interrogazioni circa il nostro modo di categorizzare il reale, circa la tendenza, spesso automatica, di dipingere il mondo in bianco e nero o di abbracciare, in modo più o meno inconsapevole e acritico, visioni e dimensioni che non ci appartengono.


Una fiaba che ci informa che la realtà, in fin dei conti, è davvero una nostra costruzione soggettiva e irripetibile (Rogers, 1980), basata su personali valori, emozioni e costrutti che, per poterci definire “agenti di scelta liberi e responsabili” (Rogers, 1951), devono necessariamente emergere dalla nostra Saggezza Organismica (ibidem), ossia dalla fiducia in ciò che sentiamo come giusto e vero per noi, in modo maturo, libero e responsabile.

Una Saggezza essenziale, allora, per la saggia maturazione della nostra autorealizzazione, dei nostri desideri, per cui “Non è bene che l’uomo abbia troppo facilmente tutto quello che può desiderare”.

Francesca Carubbi
www.psicologafano.com
www.alpesitalia.it

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