Bando agli stereotipi! Slalom per una comunicazione non discriminante.
Tante lotte sono state fatte a proposito dell’integrazione, del diritto alla parità di genere, del diritto al riconoscimento e di quello a non subire discriminazione di alcun tipo per la propria “diversità”, eppure, al giorno d’oggi, ritengo, manchino, ancora, purtroppo tante tappe importanti in tal senso.
In particolare, in questa fattispecie, mi riferisco alla ricchezza che implichi l’essere donna, troppo spesso sminuita e svilita da cliché, discorsi retorici e luoghi comuni imperanti. Credo, infatti, che indossare un genere “femminile“ stia a significare molto di più di quanto possa comparire a grandi linee su una tessera di identità. È un po’, secondo me, come distinguere tra archetipi e stereotipi, credo che questa distinzione sia molto pertinente in questo caso e insegni una differenziazione importante.
Idee astratte e schematiche o inconscio collettivo?
Lo psicologo polacco, Henri Tajfel, descrive gli stereotipi come una operazione di categorizzazione in base alla quale i soggetti tendono a classificare gruppi sociali secondo determinate informazioni, piuttosto limitate, dando luogo, in tal modo, a idee astratte e schematiche, alle quali mancano sia logica che fondamento. Dunque, lo stereotipo dovrebbe rappresentare un’idea precostituita, preconcetta, generalizzata, prevenuta e fondata sull’orientamento religioso e sessuale, sui propri background culturali, sulla propria etnicità, nazionalità, età e sul proprio genere, che conduce a etichettare gli altri soggetti in maniera positiva o negativa. Quindi, gli stereotipi consistono in standard conformi di opinioni precostituite, e sono discorsi oppure atteggiamenti generali e semplicistici, poiché reiterati in modo pressoché meccanico, facendo a meno di una considerazione e di una riflessione personale.
Per quanto riguarda l’archetipo, invece, il famoso psicoanalista, psichiatra, filosofo e antropologo svizzero, Carl Gustav Jung, afferma che l’inconscio personale comprende “forme a priori” che trovano la propria origine dalla totalità delle esperienze umane, ossia, quest’ultimo, sostiene che tali forme attingano all’inconscio collettivo, che consentirebbe all’individuo di oltrepassare il proprio “Io” e di operare un procedimento di identificazione e di comprensione della ricchezza del proprio essere. Infatti, è proprio di Jung la frase: «Gli archetipi vengono rielaborati continuamente dalle società umane, si manifestano contemporaneamente anche in veste di fantasie e spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche; si rafforzano, si consolidano oppure si indeboliscono e possono anche morire».
In seguito, la nozione junghiana inerente al concetto di archetipo è stata poi investigata in modo ulteriore dallo psicologo Erich Neumann, il quale ha definito gli archetipi in qualità di organi psichici correlati fra loro e muniti di specifiche funzioni opportune per la crescita nonché per il corretto funzionare della nostra e della nostra personalità, fondamentali, ergo, per l’inconscio.
Tramite James Hillman, adepto di Jung, qualche anno dopo, l’ipotesi degli archetipi assume valore e si sviluppa, giungendo a tracciare la psicologia archetipica connessa alle forme culturali della mitologia, della poesia, dell’arte, della poesia, della narrativa e della mitologia, con l’obiettivo di poter guarire il mondo e le idee mediante il mito. Hillman pensa che la psicologia rappresenti una specie di mitologia dell’età contemporanea mentre la mitologia costituisca una sorta di psicologia dell’antichità.
La pubblicità e gli stereotipi
Anche la pubblicità per tanto tempo è stata concentrata su stereotipi ed idealizzazioni, tanto che una parte di tali icone si è tramutata in simboli ordinari. Quelli più conosciuti sono per fare un esempio: “la famiglia del Mulino Bianco”, la quale, ha corrisposto per anni all’identificazione del prototipo della famiglia perfetta, all’insegna dei valori della genuinità e della serenità. L’ambito pubblicitario ha a lungo abusato di tali semplificazioni della realtà in quanto esse favorivano considerabilmente all’epoca la percezione e la decodificazione, oltre che la comunicazione di una brand identity, rendendola immediata ed abbinandola inevitabilmente a contenuti specifici.
Tuttavia, la problematica relativa agli stereotipi è che, questi, in quanto connessi alla nostra interpretazione della realtà, non posseggono di solito vita lunga, ma, anzi, di frequente, invertono il proprio valore allorché l’interpretazione in questione si trasforma.
Anche il marchio rappresentato dalla Mulino Bianco, per esempio, come molti altri brand, a causa della consistente evoluzione dei paradigmi familiari che ha convolto di recente soprattutto la nostra società, ha pensato bene di modificare la propria raffigurazione a proposito di merende e colazioni nell’ambito famigliare.
Basta stereotipi, usiamo gli archetipi
Oggi tutta la comunicazione attraverso un profondo e proficuo processo di revisione propende per l’utilizzo di archetipi e non di stereotipi, come sostiene anche il brand strategist, neurobranding expert e docente universitario Mariano Diotto. Quest’ultimo ha infatti dichiarato «L’indebolirsi degli archetipi nell’epoca moderna rappresenta un problema per il comunicatore perché deve trovare nuovi espedienti per raggiungere il pubblico e non utilizzare queste forme di decodifica universali. Il mondo del marketing, del brand positioning e del web ha un ruolo importante nel mantenimento di questi archetipi in quanto un prodotto di successo, sia un film, un videogioco, una trasmissione televisiva o un sito internet, può permettere di ravvivarli, modificarli o indebolirli».
Al contrario degli stereotipi, per l’appunto, gli archetipi hanno una natura molto differente, questi modelli, in effetti, si costruiscono in una modalità spontanea, durante la nostra prima infanzia e divengono poi conosciuti e condivisi nel contesto sociale. Essi, quindi, non si compongono mediante racconti e nemmeno tramite esperienze.
La psichiatra, analista junghiana oltre che scrittrice di fama internazionale Jean S. Bolen analizza per l’appunto gli archetipi femminili nel libro Le dee dentro la donna, Una nuova psicologia femminile, in questo testo la Bolenindaga ed approfondisce, inoltre, il mistero insito nella femminilità di ogni donna (perché ognuna utilizza questo potenziale in modo diverso). Ergo. Il libro attraverso connessioni con la antica mitologia investiga le varie tipologie di donna presenti dentro di noi e insegna a catalizzare in modo ottimale le nostre risorse interiori per dare alla luce la dea che si trova in noi e soprattutto le sue caratteristiche.
L’importanza dell’etica, una responsabilità sociale
Tutto questo per dirvi, tornando alla premessa iniziale sugli stereotipi, facendo un discorso tout court e, in modo particolare, sul ruolo della donna nella nostra società, io credo che tutta la comunicazione, compresa quella pubblicitaria, debba essere rispettosa sia del consumatore e dell’utente finale, e che, essa, aldilà dei suoi fini (che possano essere commerciali o meno), non possa fare a meno di assumere una determinata etica e non possa esimersi dal sentire e dall’avvertire una responsabilità sociale per quanto concerne la diffusione di standard di comportamento idonei e opportuni.
Ed anche io come comunicatrice, in generale e nella fattispecie, per quanto riguarda la mia collaborazione con il team di specialisti del progetto “Amori4.0”, mi sento coinvolta nel discorso precedente e mi impegno, con tutte le mie energie, a contribuire a propagare, nello specifico, consapevolezza, empowerment femminile, mainstreaming di genere, abbattimento degli stereotipi riguardanti l’educazione e sensibilizzazione culturale relativa all’essere donna.